Acquedolci è una cittadina adagiata ai piedi del massiccio calcareo Monte San Fratello, popolata da circa sei mila abitanti (gli Acquedolcesi) e bagnata dalle acque del mar Tirreno.
Il territorio comunale è tra i più piccoli della provincia ma la popolazione, che si concentra attorno agli edifici storici della Chiesa Madre e del Municipio, fa di Acquedolci la 14ma cittadina più grande della provincia con una densità di popolazione di 500 abitanti/Km².
Il Santo patrono del paese è San Benedetto il Moro, nato a San Fratello nel XVI secolo, titolare della omonima parrocchia Arcipreturale. La moderna cittadina fu fondata durante il primo governo Facta con la legge n. 1045 del 9 luglio 1922 in conseguenza alla frana che distrusse l'abitato di San Fratello l'8 gennaio 1922.
La realizzazione della "nuova San Fratello" nacque dall'esigenza di delocalizzare l'intero comune montano colpito da gravi fenomeni di dissesto idrogeologico.
Prima di allora, Acquedolci era un piccolo borgo, frazione di San Fratello, abitato da circa 800 contadini che si sviluppava attorno all'elegante Castello Cupane, già dimora dei principi Larcan, signori di San Fratello.
Acquedolci rimase frazione di San Fratello fino al 28 novembre 1969, quando divenne comune autonomo con la legge regionale n. 42, dopo una ultradecennale polemica alimentata da un comitato cittadino pro autonomia guidato dal parroco Antonino Di Paci.
La denominazione "Acquedolci" è avvolta nel mistero. Secondo lo storico Alfonso Di Giorgio, l'origine di questo nome è riconducibile agli scoli dei trappeti che lavoravano la canna da zucchero, introdotta in Sicilia in epoca araba, che rendevano dolciastra l'acqua del mare.
Il territorio comunale è tra i più piccoli della provincia ma la popolazione, che si concentra attorno agli edifici storici della Chiesa Madre e del Municipio, fa di Acquedolci la 14ma cittadina più grande della provincia con una densità di popolazione di 500 abitanti/Km².
Il Santo patrono del paese è San Benedetto il Moro, nato a San Fratello nel XVI secolo, titolare della omonima parrocchia Arcipreturale. La moderna cittadina fu fondata durante il primo governo Facta con la legge n. 1045 del 9 luglio 1922 in conseguenza alla frana che distrusse l'abitato di San Fratello l'8 gennaio 1922.
foto storica della via Duomo |
Prima di allora, Acquedolci era un piccolo borgo, frazione di San Fratello, abitato da circa 800 contadini che si sviluppava attorno all'elegante Castello Cupane, già dimora dei principi Larcan, signori di San Fratello.
Acquedolci rimase frazione di San Fratello fino al 28 novembre 1969, quando divenne comune autonomo con la legge regionale n. 42, dopo una ultradecennale polemica alimentata da un comitato cittadino pro autonomia guidato dal parroco Antonino Di Paci.
La denominazione "Acquedolci" è avvolta nel mistero. Secondo lo storico Alfonso Di Giorgio, l'origine di questo nome è riconducibile agli scoli dei trappeti che lavoravano la canna da zucchero, introdotta in Sicilia in epoca araba, che rendevano dolciastra l'acqua del mare.
Panorama del centro |
DAL MIO PANIERE DEI RICORDI ESTRAGGO:
RispondiEliminaEra l’anno di grazia 1929.
Il 14 del mese di dicembre, la vecchia Marina di San Fratello ora denominata Acquedolci – Fraz. Del Comune di San Fratello (San Frareu per gli indigeni sanfrardei) iniziava a vivere una nuova vita di grandiosa festività.
La nuova Chiesa dedicata a Maria Assunta,ancora fresca di muratura e gessi ornamentali, si apriva a festeggiare il primo periodo natalizio.
La luce elettrica era ancora da venire. Le vie buie venivano appena appena rischiarate dai lampioni infissi sui muri agli angoli delle vie, uno ad ogni lato del quadrilatero.
Tutte le sere nell’ora del calar del sole, un addetto lampionaio, passava per le vie ad accendere i lumi a petrolio.
Il buio delle abitazioni veniva rischiarato dalla fiamma del lucignolo impregnato del petrolio contenuto nel serbatoio del lume stesso.
Sul comodino, accanto al letto, una lucerna ad olio d’oliva con accanto la scatola di prosperi stava pronta per essere accesa al bisogno, e evitare possibili inciampi. Questa era la vita paesana degli anni venti del XX secolo.
Ma il bel e buon Natale arrivava lo stesso.
La vita degli abitanti ferveva di entusiasmi religiosi, di bontà, di dolcezze fatte in casa.
Tutti i giorni della novena natalizia, intorno alle cinque, un suonatore di zampogna abbracciando un otre gonfio d’aria girava per le vie cittadine suonando le belle musiche natalizie: “Tu scendi dalle stelle” ecc.
Di solito questi zampognari, erano pastori che provenivano dalla Basilicata; vestivano i costumi propri dei pastori dell’epoca: giacconi di pelle di pecora e gambiere rilegate agli stinchi della stessa materia, mentre i calzari erano di cuoio bovino grezzo, uguali a quelli indossati dai pastori sanfratellani.
Io fanciullo di cinque anni, insieme a tanti altri amichetti, mi recavo alla messa; mamma arrivava dopo, mentre i nonni a causa dell’età rimanevano in casa: nonna Rosalia recitava le giaculatorie, mentre nonno Luigi tra una avemmaria ed un paternoster faceva scattare il coperchio della tabacchiera di corno e prendendo un pizzico di tabacco se lo portava alle narici per il fiuto di rito.
Intanto cominciava ad albeggiare, il sacrestano aveva acceso le candele di sego dell’altar maggiore e quelle dell’unico lampadario atto ad illuminare la grande navata centrale della Chiesa.
Prima ancora che incominciasse la S. Messa, lo zampognaro sostava sul sagrato della Chiesa intonando le canzoncine natalizie e, noi fanciulli lo attorniavamo beati e incantati nel vederlo armeggiare l’otre e sentirlo mettere in note musicali il potente soffio dei suoi polmoni.
Salvatore Emanuele - Firenze