STORIA: 102 anni fa la grande Frana che rase al suolo l'antica San Fratello.

SPECIALE/STORIA
La notte tra il 7 e l'8 gennaio del 1922, l'antica e ricca San Fratello viene colpita da un pauroso smottamento.
Il disastro causò due morti e migliaia di sfollati.
La frana è stato un evento geologico che ha condizionato le vicende del comune siciliano di San Fratello e quelle del Borgo di Acquedolci dove i sanfratellani si rifugiarono in migliaia e dove verrà avviato in seguito un piano di delocalizzazione.

AcquedolciPolitica
"E’ giunta notizia di una tremenda sciagura avvenuta in un paesello della nostra provincia e precisamente nel comune di San Fratello. Questo comune sorge su un monte, e questa notte, a causa della corrosione prodotta dalle acque, le rocce sono sprofondate, travolgendo in una rovina quasi tutte le case del paese. Fra gli altri edifici rovinati nella voragine vi sono la Cattedrale e il Municipio. Non si conosce il numero dei morti e dei feriti perché mancano i particolari dell’immane tragedia. Si sa che almeno cinquecento famiglie sono senza tetto”. 
(Telegramma inviato dal Prefetto di Messina al Ministero dell'Interno la notte dell'11 gennaio 1922 )
La frana di San Fratello è un disastro idrogeologico che lasciò sgomente le comunità vicine e l'italia intera. Si tratta di uno degli eventi distruttivi più gravi del '900 siciliano che impressionò l'opinione pubblica dell'epoca non solamente per le migliaia di sfollati ed il danno immenso al patrimonio artistico ma soprattutto per l'emergenza sanitaria e l'impressionante scenario che si mostrava a quanti, giungendo a San Fratello, non trovavano più il paese. 
"Il disastro è terrificante- annota il Prefetto dell'epoca comm. Frigerio nella relazione al Ministro- Il paese di San Fratello di un tratto non è più che un luogo di desolazione completa e accorante. Il paese è rimasto completamente deserto e la frana purtroppo non accenna ad arrestarsi. Essa minaccia rovina fino all’ultima casa rimasta ancora in piedi. Gli undicimila abitanti sono quasi tutti fuggiti in preda al più vivo terrore. Purtroppo si deplorano due vittime, una povera vecchia di 85 anni ed il figlio suo che morì per aver tentato di salvarla. Se non si hanno a deplorare molte vittime, lo si deve all’arciprete del paese ed al capitano dei carabinieri, i quali, accortisi della minaccia della frana e intuito il grave pericolo, fecero sgombrare le case più immediatamente minacciate dagli abitanti. Molta gente figura dispersa perché è fuggita per le campagne. I fuggiaschi non hanno potuto salvare dalla rovina che pochissime cose e sono tutti nella angosciosa miseria. Gente ricca fino a ieri, rimasta completamente priva di risorse e di indumenti. Pare che il paese di San Fratello difficilmente potrà risorgere sul luogo ove la frana lo ha completamente distrutto. La frana ha rovinato tutta la parte ovest del paese per una lunghezza di 650 metri ed una profondità di 50. I massi staccatisi dalla montagna hanno investito e spazzato violentemente nella loro corsa alberi secolari, case e strade. 500 case non esistono più e 300 sono pericolanti. La popolazione non potrà più abitarle.".
San Fratello era in quel momento uno dei borghi siciliani più importanti. Ricca di chiese ed edifici appartenenti a congregazioni religiose, la cittadina collinare era sede di Pretura e probabilmente dotata di un Teatro. Lo smottamento si ripeteva per la seconda volta. Già nel 1754 una frana aveva danneggiato il paese e raso al suolo il Castello di San Filadelfio. All'epoca si era già ipotizzato di trasferire l'abitato nei pressi della località Acquedolci ed il Principe di Palagonìa aveva addirittura trasferito ad Acquedolci la propria residenza sul feudo, sospendendo le attività di lavorazione della canna da zucchero e della seta ed edificando una ricca dimora al di sopra dei corpi di fabbrica. Gli abitanti si erano però rifiutati di trasferirsi e si optò per la ricostruzione in collina. In pochi decenni, ad inizio '800, San Fratello era ritornata al suo antico splendore e le occasioni di lavoro che la realtà locale offriva, l'attività di allevamento e l'attività edilizia legata alla ricostruzione, avevano richiamato in paese tanti "forestieri". Dopo l'Unità d'Italia la popolazione era quasi raddoppiata rispetto al secolo precedente fino a raggiungere, nel 1921, i quattordicimila residenti. A metà Ottocento, le amministrazioni comunali che si erano avvicendate, avevano spesso avuto a che fare con il problema degli smottamenti e avevano tentato di bloccare le fessurazioni delle strade e degli edifici deliberando la realizzazione della "Murata", un maestoso muraglione a ridosso del quartiere detto "Pescheria" che in un certo senso era concepito per far defluire le acque e rendere stabile il paese. Ad inizio secolo gli smottamenti avevano però ricominciato a manifestarsi aggredendo la Chiesa Matrice che per motivi di sicurezza era addirittura stata chiusa ai fedeli. La grande "Murata" non sarebbe tuttavia mai potuta essere eterna ed era destinata a cedere sotto l'immensa pressione della montagna. In tanti raccontano che, nei primi giorni dell'anno 1922, accadeva che l'acqua delle cisterne ricavate sotto le abitazioni, spesso si prosciugasse improvvisamente o, in alcuni casi, sovrabbondava piena di fango. Ecco il vero problema che determinò la stabilità del paese. Tutte o buona parte delle abitazioni, avevano tra le fondazioni la cisterna per l'accumulo delle acque piovane. Non alcune centinaia ma migliaia di cisterne contribuirono a cariare e rendere instabile l'intero monte sul quale era edificato il paese. In pratica l'acqua raccolta sui tetti veniva canalizzata nella cisterna sotto casa, piuttosto che defluire penetrava così nelle fondazioni, contribuendo a rendere instabile l'intero territorio.
Intorno alla mezzanotte del 7 gennaio 1922,un giovane avvocato che stava uscendo dalla sede del locale "Circolo dei Nobili" si accorse di una lunga crepa che correva lungo la strada e si allargava sotto i suoi piedi. Sembra che sia stato il primo a lanciare l'allarme. Il disastro perciò colse i sanfratellani nel sonno. Fu abbastanza lento da permettere la fuga, ma abbastanza rapido da cancellare almeno tre quarti del paese. In appena una notte, piazze, strade, case, punti di riferimento e memoria di un popolo, erano divenute poco più che fango. Lo smottamento inesorabile ed i crolli rovinosi, trascinarono balaustrate di marmo, archivi e biblioteche, conventi e monasteri, umili abitazioni e palazzi nobiliari pieni di ricchezze. Secondo i racconti, paurosi boati, provenienti dalle viscere di quella montagna ritenuta fino ad allora sicura e tremori avvertiti in tutto il paese,impaurivano la popolazione che in gran numero affollava gli antichi vicoli che sprofondavano. Risalendo dalla zona bassa del paese, la frana aggredì in poche ore i quartieri del crinale ovest, trascinando tutto. Ad essere colpiti furono i rioni Murata, Matrice, Valle, Calvario, Pescheria, Badia,Sant'Ignazio, Roccaforte e via san Nicolò fino a lambire l'altra grande chiesa dell'antico paese, la Chiesa di San Nicolò. 
Le cifre del disastro: Sono state dieci le chiese distrutte,due le vittime ufficiali,almeno 4 mila gli edifici rasi al suolo o danneggiati, compresi gli edifici pubblici e le strutture religiose come conventi e case di preghiera. Gli sfollati inizialmente stimati in cinquemila furono in realtà oltre novemila. Mentre la popolazione si rifugiava nei fienili o fuggiva verso Acquedolci, la situazione sanitaria precipitò; Tra gli anziani furono diffusi gli attacchi di cuore causati da freddo e paura e casi di tubercolosi e colera, influenza spagnola ed epatite, provocarono decine di decessi nelle settimane successive. I soccorsi inviati dal Governo dovettero attendere che i plotoni dell'esercito aprissero una via d'accesso per raggiungere il paese. Gli aiuti furono presi d'assalto dalla popolazione affamata. Ci furono anche alcuni casi di sciacallaggio. Le 20 mila scatolette di carne in conserva inviate dal Governo, non bastarono per tutti ed i convogli carichi di indumenti e coperte risultarono insufficienti. Nel frattempo intervenne anche la Santa Sede che, su indicazione di Pio XI informato dal Ministro Di Giorgio, inviava  enormi quantitativi di riso e biscotti. Dai paesi vicini arrivava intanto pane e farina. Circa 2 mila sfollati vennero radunati nei pressi della Marina Vecchia di Acquedolci, accolti nei saloni e nei fienili del Castello Cupane. Altri si accampano in ricoveri di fortuna in località Buonriposo. Circa 3 mila sfollati vennero ospitati a Sant'Agata Militello. Furono però migliaia coloro i quali non vollero trasferirsi e si accontentano di dormire in fienili e lungo le strade. Nell'Atrio del Convento vennero forniti i primi soccorsi, data assistenza alle partorienti, conforto ai moribondi. Tantissimi sfollati si accamparono nei pressi del Cimitero di San Fratello, in località Grazia. Il punto  colpito dal dissesto idrogeologico da quel lontano 8 gennaio 1922 non si è mai fermato e continua  lentamente ma inesorabilmente a scivolare verso valle di pochi centimetri l'anno.
La frana ha cancellato la memoria storico-documentale del paese: Vennero distrutti gli archivi anagrafici e parrocchiali assieme alle biblioteche. Chiese e conventi ricchi di capolavori artistici vennero travolti dallo smottamento.

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