La notte tra il 7 e l'8 gennaio del 1922, l'intero paese cominciò a scivolare verso la vallata del Furiano.
Un evento catastrofico che ha cambiato la storia.
L' avvenimento fu così drammatico da fare notizia in tutta Italia.
Le vittime sepolte sotto le macerie furono ufficialmente due,un giovane e l'anziana madre, altre 5 persone furono dichiarate disperse.
Il racconto di quella notte lo affidiamo ad un testimone d'eccezione: il sac. Antonino Di Paci
fonte: AntoninoDi Paci-Archivio Parrocchiale di Acquedolci
a cura di Pro Loco Acquedolci
"L’8 gennaio 1922, una grandiosa frana travolgeva più di un terzo dell’abitato di San Fratello, la parte centrale dove sorgevano tutti gli edifici pubblici e le migliori case dei cittadini, espandendosi poi per parecchi e svariati chilometri, fino al torrente Furiano, distruggendo nel suo travolgente percorso floride e ubertose campagne. In quel rigido inverno del 1922, nei giorni 4, 5, 6 e 7 gennaio era caduta abbondante la neve e tutto l’abitato di San Fratello era coperto da un manto bianco e spesso. Le feste natalizie erano trascorse liete e tranquille. Gli abitanti in maggioranza agricoltori, soddisfatti dell’abbondante raccolto dell’annata stavano tappati in casa a godersi tranquilli attorno al focolare domestico, al calduccio nella propria abitazione, ricca di masserizie e di derrate e nulla sospettavano, né potevano sospettare, che tanta serenità e godimento dovesse presto finire.
Ma venne la fatale alba dell’8 gennaio del 1922 e coi primi albori cominciarono a manifestarsi i primi sintomi della frana, che mostruosa e quasi cauta si avanzava attanagliando e travolgendo brutalmente: prima i quartieri della Murata e Pompa e poi man mano i quartieri della Pescheria, Badìa, Piazza, Porta Sottana, S. Ignazio, Puntalarocca, Maddalena, Valle. E così nel suo fatale avanzare venivano sconquassati, travolti e distrutti con le case dei cittadini, tutti gli edifici pubblici: il Municipio, la Pretura, il Teatro, l’Ufficio Postale, la monumentale Chiesa Matrice, il grandioso Monastero e Chiesa delle Benedettine, le Chiese di S. Pietro, S. Giacomo, S. Benedetto, S. Ignazio, S. Maria Maddalena, del SS. Rosario, restando proprio al taglio della frana la bella Chiesa di S. Nicolò, col suo alto e maestoso campanile, gravemente lesionato e pericolante.
L’Arc. Luigi Abate si premurò a far costruire tre grandi bastioni per assicurare la stabilità della Chiesa e il Genio Civile di Messina, non rendendosi conto della gravità del male che continuava a corrodere le basi della Chiesa, buttando milioni senza costrutto, tentò salvare il salvabile abbattendo la navata laterale della Chiesa prospiciente la frana, costruendo muri tra l’una e l’altra colonna per rafforzare e puntellare gli archi soprastanti; ma l’intervento si è dimostrato inutile come purtroppo le tante altre opere fatte dal Genio Civile di Messina nell’abitato di San Fratello: e non passarono che pochi anni che si impose la demolizione completa del campanile e in parte della Chiesa, per evitare qualche altra disgrazia e salvare da sicura rovina i preziosi marmi degli altari.
Alle ore 13 di quel tragico giorno – 8 gennaio 1922 – la campana grande della Chiesa Matrice di Maria SS. Assunta, abbattendosi, insieme alla torre campanaria, dava, con lunghe e profondo rintocco, il triste annuncio dell’immane, orribile catastrofe. Il panico e la confusione di quel sciagurato giorno è stato indescrivibile: gli abitanti dove si manifestava la frana furono costretti a scappare senza poter portare con se la men che minima cosa, perché l’incalzare della frana era travolgente, le case si rovesciavano le une su le altre inesorabilmente, il pericolo diveniva sempre più terrificante. L’accorrere dei parenti dei disastrati e degli amici, autorità e curiosi accrebbe in modo inverosimile la confusione in quel guzzabuglio di neve e di fango: il caos divenne indescrivibile.
E venne la notte e nella notte di quel terribile giorno la frana compì la sua opera devastatrice. Col far del giorno, la mattina del nove gennaio, tutta la parte centrale dell’abitato era divenuta un vasto campo di mostruose e lugubri macerie e tutto tutto intorno alla periferia della gigantesca frana: grida allarmanti, pianti strazianti, lamenti pieni di desolazione della povera gente che aveva perduto la casa con tutti i suoi risparmi, rimanendo sul lastrico senza indumenti e senza mezzi di sussistenza. Sette persone sono rimaste vittime tra le macerie tra cui Filadelfio Caprino, soprannominato "Brik", il manticiaro della Matrice, che per cercare di portare in salvo la propria madre malata con una gamba rotta, vi perì insieme".
Commenti
Posta un commento