Storia: Il Carnevale è un'antica tradizione di Acquedolci.

Nelle alterne vicende della storia del Carnevale Acquedolcese, ritroviamo tre "maschere tipiche".
Oggi parliamo di "Giannetto" il Contadino burlone che "moriva" dalle risate.
Fu l'antica maschera di Acquedolci negli anni '40.
Doroteo, maschera "ufficiale", venne ideata e realizzata solo nel 2003.
di Enrico Caiola
Negli scorsi anni l'Assessorato Regionale dello Sport del Turismo e dello Spettacolo ha inserito, sul proprio sito, notizie riferite al Carnevale di Acquedolci. Questa festa, definita "Carnevale dei Nebrodi", viene arricchita da alcuni racconti e annoverata tra le feste di Carnevale più antiche di Sicilia, assieme alle tradizionali sfilate del Carnevale di Termini Imerese (formalmente nato con l'apparizione "d'ù Nanno e d'à Nanna" nel 1900); del Carnevale di Sciacca (tradizione risalente al 1670 e che viene citato per la prima volta nelle cronache del Pitrè del 1889 con il suo "Peppe Nappa") e del Carnevale di Acireale (antica festa con sfilate di maschere già presenti nell' '800 e che registra l'apparizione di "macchine infiorate" negli anni '40 dello scorso secolo). Ma, a questo punto, dobbiamo parlare di Acquedolci che, negli anni '20 dello scorso secolo, cominciò a vivere gli albori di una festa che nel tempo si sarebbe arricchita e accresciuta. La storia del Carnevale Acquedolcese è affascinante e la festa nasce spontaneamente tra una popolazione umile di sfollati che erano scampati ad un disastro. Sul sito della Regione Siciliana si fa riferimento a questo sentimento di "rinascita". "La gente del luogo -si legge- volle realizzare qualcosa che potesse servire per restituire momenti di serenità e spensieratezza e fu così che nacque il Carnevale di Acquedolci, con la sfilata di carretti siciliani e di piccoli carri abbelliti con stoffe varie colorate, trainati da robusti cavalli sanfratellani".
DOROTEO è oggi la Maschera Ufficiale di questa grande festa di Carnevale. Il disegno del personaggio, che in questi giorni troneggia ovunque dalle scuole, ai trofei,alle pagine  facebook, nasce dalla fantasia e bravura dei disegnatori Giuseppe Agnello, Andrea e Donato Scaffidi, Mariannina Giorgiani. Se questa festa è diventata grande ed ha assunto i moderni connotati di uno dei più bei Carnevali della Sicilia, va riconosciuto il merito al lavoro gratuito di chi nel tempo ha generosamente offerto un contributo enorme a questa tradizione identitaria. Ci sono tanti anziani organizzatori che sostengono che, in realtà, la tradizione moderna del Carnevale con i Carri,deriva da antiche sfilate lungo l'attuale via Ricca Salerno. Le notizie della prima sfilata di coloratissimi "Carruzzuna" risale, probabilmente, agli anni '20 del secolo scorso e, secondo il racconto di Salvatore Emanuele, una data potrebbe essere il 1927. Ma cosa sappiamo sulle feste popolari che animavano Acquedolci durante gli anni '40? perchè gli anziani,anche quelli di fuori paese, sostengono che "da sempre" ad Acquedolci per carnevale si fa festa? Una tradizione così sentita da resistere alle guerre, alle crisi economiche ed alla distruzione quasi totale causata da un terribile incendio; una festa dai connotati identitari così forti da determinare addirittura la chiusura di edifici pubblici e scuole, non può avere solamente cinquant'anni di vita.
Quando ancora Acquedolci era una frazione e quando ancora neppure le strade erano asfaltate, dai primordiali "carretti" si lanciavano fiori e confetti e, sempre secondo i racconti, l'evento attirava già all'epoca tantissimi visitatori anche da fuori paese. 
Per capire cosa accadesse nel Borgo, bisogna guardare proprio il Carnevale più simile per tradizione che sarebbe quello di Acireale dove la manifestazione aveva compiuto, ad inizio '900, un salto di qualità con l’introduzione della “cassariata” e con le carrozze dei nobili che lanciavano raffiche di confetti agli spettatori. 
Questo racconto è molto simile alla festa "acquedolciana" raccontata da Salvatore Emanuele.
Alla fine degli anni venti andava di moda in molte parti di Sicilia l'usanza di creare maschere di cartapesta. E se, all'inizio degli anni trenta, ad Acireale entrano in scena al fianco dell' "Abbatazzu", le maschere in cartapesta, che poi si trasformano in carri allegorici trainati dai buoi; nella piccola Acquedolci gli uomini indossano "scappucci" e "maschere di carta", improvvisano concertini di strada e animano le danze da sopra i "carruzzuna".
"I festosi carretti-si racconta- erano tirati da splendidi cavalli impennacchiati vistosamente con campanelle, piume e lustrini colorati. Trasportavano i suonatori che animavano con le melodie del tempo..."
Gli anni '30,vedono la partecipazione della locale Banda Musicale che eseguiva le danze per tutta la sera lungo le strade del borgo.
Grandi e chiassose comitive, di ragazzi ricoperti con lenzuoli bianchi e colorati o recanti sul volto maschere in cartapesta, diventano protagoniste delle feste degli anni '40. Il tradizionale mantello denominato "scappucciu", fa parte dell'abbigliamento tipico dei "cannalivari";le rime improvvisate, la satira e gli applausi ai danzatori più bravi donano a tutti attimi di genuina allegria. A quanto pare le feste ad Acquedolci erano così divertenti che, numerose comitive, accorrevano anche dai paesi vicini. Probabilmente per evitare litigi e polemiche si diffuse l'usanza che prevedeva che per potere partecipare alle "ballate"(i "Vigghiati") la comitiva di "cannalivari" doveva far riconoscere almeno uno dei suoi componenti. Quando questo avveniva l'intero gruppo veniva accolto con dolci e danze.
Sembra che la tradizione si interruppe durante gli anni della guerra. Ma riapparve più esuberante che mai sul finire degli anni '40 e durante tutto il decennio successivo. Ci si divertiva con poco ed in maniera genuina tra vicini di casa e si ricominciarono ad organizzare le "Vegliate" e i Carruzzuna. La gente di Acquedolci, da sempre amante della buona tavola e della buona compagnia, non perdeva la capacità di fare festa, nonostante il paese fosse poverissimo e con le ferite della guerra ancora aperte. Accadde che durante gli anni '50 si diffuse l'usanza di fare la "Cannalivarata". 
"Giannetto" bozzetto di Mariannina Giorgianni
E' il periodo nel quale appare una maschera tradizionale che, secondo alcuni racconti, raffigura un simpatico e corpulento burlone di mezza età, avvinazzato, con lunghi baffi,la coppola calata sulla fronte,l'immancabile "scappuccio" e gli scarponcini di pelliccia tipici dei contadini ("scarpipilu"). Il nome di questa maschera contadina sembra trarre spunto dal suo ideatore che veniva chiamato "Giannetto". Abbiamo perciò pensato di chiedere, proprio a Mariannina Giorgianni che disegnò Doroteo, di riprodurre un bozzetto di Giannetto che fu l'antica e simpatica Maschera del Carnevale di Acquedolci. Mariannina è stata bravissima e la sua matita ha dato un volto al personaggio, con i suoi grandi baffoni e l'espressione divertita,la coppola e lo scappuccio ma, sopratutto, l'esplosione di caramelle e confetti che escono da ogni manica del personaggio. Sicuramente, in futuro, a questo bozzetto potrà essere dato colore e maggior carattere allegorico.
La teatralizzazione carnevalesca, inscenata negli anni '40 dagli abitanti di Acquedolci, diventò velocemente una festa attesa nella piccola frazione. Durante la manifestazione, arricchita da alcuni Trampolieri che meravigliavano i bambini e donavano fiori alle bambine, dai balconi le donne improvvisano "lamentazioni burlesche" per prendere in giro il "protagonista" della strana festa. Il fantoccio di Giannetto ubriaco e moribondo, attraversa le strade,circondato da cori e canti festosi..rime e satire che prendono di mira medici e politici. Le edizioni di questa stranissima "sfilata" riscossero notevole entusiasmo. Agli ormai tradizionali "Carruzzuna" che distribuivano salsiccia arrostita, si affiancò una insolita quanto divertente e partecipata manifestazione tragicomica che appariva come una strana rappresentazione teatrale popolare..con tanto di satira politica. 
Il Martedì Grasso, l'enorme manichino di Giannetto, veniva vestito elegantemente con "gilecco e bonacca" (petto e doppiopetto) e veniva dapprima esposto e, successivamente,fatto sfilare per le vie cittadine. Organizzatori di questa festa furono Vincenzo Caruso, la cui 'ngiuria era “'u missinisi”, e l' artigiano della cartapesta conosciuto come "Giannetto" che realizzava il fantoccio che impersonava il Carnevale e che da lui prese il nome. La mattina del Martedì, si dava inizio alla festa, con grande seguito e partecipazione da parte della popolazione. Alcune comitive provenivano dalla vicina San Fratello e già cominciavano ad improvvisare alcune divertenti strombazzate tipiche della Settimana Santa Sanfratellana. Mentre la locale Banda Musicale allietava gli spettatori. Il Manichino di "Giannetto", veniva posizionato sopra un carretto, tra cori e danze. L'aspetto di questo "pupo" era quello di un anziano burlone avvinazzato. Giannetto raffigurava praticamente un corpulento contadino con lunghi baffi; indossava coppola e stivali; una lunga camicia bianca e pantaloni colorati. Il fantoccio era praticamente imbottito di confetti e dolciumi e, durante la "Sfilata", si inscenava un'improvviso malore, l'arrivo di dottori incapaci e gli “interventi chirurgici”. Non mancavano i litigi del prete con i dottori che improvvisavano operazioni estraendo dal manichino oggetti e dolciumi che venivano lanciati alla folla divertita e festosa. Secondo quanto viene riportato nella Relazione R.E.I realizzata dalla Pro-Loco di Acquedolci, ad aprire il corteo, pare ci fosse un uomo vestito da prete (una figura che ritroviamo anche nel carnevale di Acireale con " l 'Abbatazzu", il quale reggeva una lunga canna con una bandiera e pronunciava alcune sconclusionate e divertenti litanie derivanti dalla tradizione dei "Carmina Burana". Il povero Giannetto era ormai “moribondo” ma salutava ancora tutti col braccio dal quale continuavano a cadere oggetti e dolciumi per incitare tutti al divertimento. Diversi gruppi di “piangenti” impersonavano i familiari, gli amici, i conoscenti che, per essere consolati, richiedevano i "ballabili" alla Banda. I residenti erano abbastanza immedesimati in questa stranissima sfilata ed erano soliti affacciarsi ai balconi ed alle finestre con finte urla di disperazione e pianti simulati. Le signore lanciavano fiori e confetti e donavano al "moribondo" bottiglie di vino affinchè si "riprendesse" dalla malattia della tristezza. Si andava avanti così per tutta la giornata e fino a sera, fin quando si giungeva al fatidico momento dell' intervento durante il quale il manichino, dopo l'ennesima "operazione", moriva “sotto i ferri” e veniva Bruciato in Piazza Municipio per evitare che il divertimento si contagiasse anche durante la Quaresima. 

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