RACCONTI: "VENTO DI SCIROCCO ad ACQUEDOLCI". Il Racconto di Salvatore Emanuele.

SPECIALE/ Indietro nel tempo.. in una piccola Acquedolci sferzata da fortissimi venti di Scirocco.. E' una Acquedolci che nessuna immagine ci ha mai mostrato. 
L'illustre concittadino,che si è trasferito a Firenze, ci lascia un contributo prezioso per la memoria storica del paese.
VENTO DI SCIROCCO ad ACQUEDOLCI.
Salvatore Emanuele,cresce in contemporanea con Acquedolci, assiste alla costruzione del Municipio e all'apertura al culto della nuova Chiesa Madre.
Il racconto ambientato nel Borgo della Marina e tra le casette di "cinquemilalire". Non ci sono ancora le Ville e le strade e le baracche degli sfollati della frana subiscono danni.
di Salvatore Emanuele
Spira da sud-est e venendo dalla Siria si bagna nel mar Mediterraneo per arrivare a noi grondante di umidità.
" 'U SCIROCCU"

"Erano gli anni trenta del secolo XX° l’“anno di grazia“ non mi sovviene. 
Impetuoso tirava senza sosta, ormai da tre giorni, un vento di scirocco rovente, che martoriava tutta la nostra isola.
Al tempo, le abitazioni erano sparse nel territorio, e tra una abitazione ed un’altra ci correvano ampi spazi vuoti. 
Non esisteva una organizzazione comunale di pulizia dell’abitato: ognuno si liberava della nettezza «come, meglio, poteva e credeva».
La parte più densamente abitata del paese era il quartiere delle cosiddette « Case delle cinquemila lire ».
Oltre i padiglioni delle nuove case popolari e l’edificio scolastico, il ‘nuovo piano regolatore’, era deserto ed era la sola zona pulita della piccola cittadina che contava circa 2.500 abitanti. Ragion per cui il vento impetuoso aveva la meglio nel disperdere per l’aria l’immondizia abbandonata mentre gli oggetti poco pesanti li faceva rotolare ed involare in angoli reconditi, le cartacce dismesse ed i fogli di giornale volavano per l’aere come aquiloni.
La forza dello spostamento dell’aria, impetuosa com’era, nello sfregamento con i fili aerei della energia elettrica e del telegrafo emetteva, ininterrottamente, un fischio al pari delle locomotive del treno. La gente se ne stava chiusa in casa a porte e finestre sbarrate per liberarsi da quel fastidioso sibilo che infastidiva le orecchie e per proteggersi dal caldo soffocante che angariava il respiro.
Era di già il terzo giorno che questo tremendo turbine infuriava senza alcuna sosta; era di mattina… 
il Sacerdote Don Valenti prese una decisione...
(Nota storica:il sac.Antonio Valenti è stato Vicario Cooperatore nell'anno 1931,in un periodo perciò in cui la Parrocchia di Acquedolci non era ancora stata dedicata a San Benedetto, ma dipendeva dalle Parrocchie Urbane di San Fratello con turnazione triennale. Il racconto perciò è ambientato nel 1931,anno in cui il narratore aveva 7 anni)

Col suono delle campane a distesa, come si fa per tragici eventi, chiamò i fedeli a raccolta.
La gente accorse e la Chiesa si riempì di devoti: il Prete officiò una Messa invocando il Signore che facesse cessare la turbolenza atmosferica. Indi, volle che la comunità ivi presente si recasse in processione nella Chiesetta del Castello Cupane per portare in processione la statua del Santo Giuseppe che ivi era ospitata. Alcuni dei tanti volenterosi uomini presenti, ed eran molti, anche perché chi lavorava all’aperto ne era impedito dall’evento: caricarono sulle loro spalle una vara, vuota, ed il corteo partì.
Io e Bettino Rubino il (figlio del Prof. Benedetto il farmacista), ambedue chierichetti, affiancammo il Prete e la moltitudine si mosse in processione alla volta del “Castello”. Giunti che fummo in loco, la statua di San Giuseppe fu rimossa dalla sua base e collocata sulla vara. 
La processione, cantilenando prieghi si volse alla volta del vetusto castello Cupane, qui la statua del Santo fu rimossa ed installata sulla bara. Di li per la via Vecchia Marina giunse alla Chiesetta di San Giacomo, e poi ritornando, nella Chiesa Madre dell’Assunta. La Vara con il Santo fu collocata nella navata centrale vicino all’Abside. 
Incominciò il Te Deum cantato dal Sacerdote ed accompagnato dalla ottima voce del sacrestano, cantore, e suonatore dell’ armonium Calogero Vitanza; appresso la funzione era d’uopo riportare la statua del Santo nella Chiesetta del Castello. 

Il forte vento faceva svolazzare disordinatamente le vesti delle signore ed i foulard che proteggevano le loro teste. Il corteo, imboccata la via che porta al Municipio, si era appena mosso quando: all’altezza della casa del Generale Ricca, sul lato Nord dov’era in costruzione una casa, v’era anche per la bisogna, una conca di calce viva «bollente»: una sciroccata molto di più violenta che altre, strappò al corteo un bimbo di circa quattro anni involandolo e facendolo cadere in mezzo alla conca di calce bollente.
Non uno,ma cento grida allarmate si levarono al cielo..
....in tanti fra gli uomini andarono a salvarlo dal bollente «ossido di calcio»; ripulito che fu dalla calcina che teneva addosso, con i foulard femminili, mostrò il suo corpo alieno dalle bruciature temute. Tre volte, il Prete fece il segno della croce, e poi il corteo ripartì alla volta della Chiesetta. Giunti che fummo alla Cappella del Castello, la statua del Santo patrono rifù situata sul suo piedistallo; il prete, supplicando, ritornò ad invocare la di lui protezione sul popolo stremato dallo scirocco… e poi, rivolto verso la moltitudine dei fedeli preganti, impartì loro la benedizione. 
In quello stesso momento qualcosa avvenne...
… non tutti se ne accorsero perché intenti ai preghi della funzione religiosa, ma avvenne … e fu…come fu: il fortissimo vento di scirocco cessò come d’incanto, il caldo rovente si affievolì totalmente lasciando un’aura dolce fresca e sottile che si impadronì di tutto il nostro essere, ora beato e contento.

Bibliografia:
racconto di  Salvatore Emanuele
foto di
Benedetto Rubino
Andrea Scaffidi
Pierpaolo Faranda.
si ringrazia Salvatore Emanuele per questa testimonianza omaggio alla memoria storica del nostro territorio.

Commenti

  1. Complimenti vivissimi! Una misurata narrazione descritta con dovizia di particolari, con istantanee visualizzazioni, degni del miglior sceneggiatore. Bella la foto di Andrea Scaffidi: sintetizza e simboleggia con maestria facendo diventare veritiero il fischio dei “fili aerei dell’energia elettrica”. Complimenti Salvatore Emanuele!

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