Intervista a Basilio Petruzza: “I miei personaggi sono parte (e parti) di me".

Enrico Caiola incontra Basilio Petruzza, giovane e promettente scrittore italiano autore del romanzo "La neve all'alba". 
"La felicità non ha una sola direzione
Basilio ha ventiquattro anni, è cresciuto ad Acquedolci e vive a Roma dove studia e scrive. Si definisce un sognatore e dice spesso di credere "nei sogni,nell’ entusiasmo,nella passione, nell’arte,nella condivisione,nella voglia di fare." Petruzza ripete spesso di essere "uno scrittore, non perché sia la mia professione, ma perché sono uno che scrive sempre, in qualsiasi momento, in qualsiasi circostanza. Diari, appunti, libri, testi di canzoni, post sui social: scrivo qualsiasi cosa.". 
Abbiamo deciso di conoscerlo meglio e per questo motivo lo abbiamo incontrato. Ha risposto ad alcune domande. "Credo nelle parole- ha detto- nella loro forza e nel potere che hanno su di me. Senza quello che ho scritto, non sarei quello che sono. Scrivere ha cambiato la mia vita e mi ha fatto conoscere me stesso." 
Indiscrezioni sulla trama, ma anche un'occasione per conoscere meglio questo ragazzo che dedica un pensiero speciale a quanti lo seguono da Acquedolci attraverso AcquedolciFuriano Blog. 
(nell'immagine: la copertina del  libro "la Neve all'Alba" di Basilio Petruzza)
(E.) "Frantumi" nel 2012 e "La Neve all'Alba" nel 2015. Sei al tuo secondo lavoro, la prima domanda è : Come nasce un libro? Come si costruisce una trama? Come si sviluppa un racconto e che senso hai dato alla tua opera, hai immaginato la vicenda o il tutto si è sviluppato in itinere ed è stato influenzato da fatti o eventi e notizie di cronaca?
(B.) I miei libri sono nati sempre da un bisogno, da una necessità che ho sentito di avere e che ho assecondato perché non diventasse un malessere. O perché smettesse di esserlo. Sono sempre nati da un vuoto, da una mancanza da risolvere. La scrittura è la sola cura che mi concedo per “guarire”. Le trame dei miei libri sono arrivate sempre in un secondo momento, prima ho sentito la necessità di scrivere, un’inquietudine da chiarire, una malinconia da assecondare. Io, solitamente, parto da un’idea, da uno scheletro che m’accompagna, o dovrebbe accompagnarmi, per tutto il tempo che impiego per realizzare il mio romanzo. Dico “dovrebbe” perché, poi, i personaggi iniziano a vivere, e scrivere diventa il tramite per assecondare la loro personalità, il loro vissuto, la loro storia. Ad un certo punto, prendono forma, la loro vita si carica di aneddoti e particolari che non avevo messo in conto, il senso della storia cambia, si ramifica, si complica. Scrivere significa lasciarli vivere, farmi piccolo e osservarli. In fondo credo che sia questo quello che fa uno scrittore: osservare. Non parto mai da fatti di cronaca o realmente accaduti. 
(E.) Sia il primo che il tuo secondo lavoro affrontano entrambi vicende nelle quali, seppur nella diversità delle situazioni, si affrontano fondamentalmente alcuni problemi diffusi e frequenti: gli schemi, il pregiudizio, la mentalità preconcetta e poco aperta al confronto e, in entrambi i lavori, emerge una ribellione nei protagonisti.
(B.) Si tratta di due romanzi molto diversi, ma in entrambi, come dici tu, c’è la voglia di ribellarsi ai propri anni, alle proprie radici, alle disattenzioni subite. È giusto però contestualizzarli: quando ho scritto “Frantumi” avevo diciannove anni, vivevo con difficoltà la mia età. Si tratta di quel periodo complicato tra la fine dell’adolescenza e l’inizio dell’età adulta, quando non sei più un ragazzo, ma non sei ancora un uomo. In quel momento, quindi, ho raccontato la rabbia, la frustrazione, il senso di inadeguatezza che sentivo. Attraverso Laura, la protagonista di “Frantumi”, ho parlato d’inconcludenza, della mia costante incapacità di sentirmi nel posto giusto. La ribellione di Laura arriva tardiva, arriva sempre un attimo dopo il momento opportuno. E ne paga le conseguenze. Paga le conseguenze di aver affidato la propria vita alle scelte degli altri. “La neve all’alba” è nato, invece, poco tempo fa. È nato dalla mia urgenza di parlare, di non temere più le mie consapevolezze, dal bisogno, che ho sentito, di abitare consapevolmente il mio posto, la mia vita, la mia realtà. Anche ne “La neve all’alba” la ribellione di Mauro, il suo protagonista, arriva tardi, ma è la conseguenza di un percorso ben più complicato e nient’affatto lineare. Mauro subisce violenze sessuali e psicologiche da parte di un adulto. Ribellarsi non è soltanto un atto di rabbia, è la consapevolezza di non avere una colpa, di meritarsi una speranza, di non dover pretendere un risarcimento, di doverselo guadagnare, piuttosto, con la lucida coscienza di essere irrimediabilmente segnato, ma non per questo sconfitto. 
(E.) Personaggi: il protagonista della storia è Mauro. Questo protagonista ha qualche cosa di te?
(B.) I personaggi che racconto fanno parte di me e io faccio parte di loro. La vita ci fa una concessione soltanto, quella di viverla. Un romanzo, invece, me ne fa due: vivere la mia vita e quella dei personaggi dei miei libri. Ho vissuto attraverso i loro occhi e loro attraverso i miei, ci siamo scambiati paure, risentimento, frustrazione, soluzioni e assoluzioni. Laura con “Frantumi” e adesso Mauro con “La neve all’alba” mi hanno permesso di conoscere me stesso. Non sono importanti le somiglianze tra me e lui, ma piuttosto il fatto che, attraverso di lui, io abbia imparato a conoscere me stesso, a somigliarmi, ad essere coerente con me, con la mia natura, con la mia storia. Scrivere è fare autoanalisi, alla fine di un libro non sono mai quello che ero all’inizio. Per questo dico che i miei romanzi mi hanno cambiato la vita, perché mi hanno concesso quello che adesso ho: consapevolezza, maturità, serenità. Se sto bene è perché ho “conosciuto” Laura e Mauro, perché ho preso le distanze da loro, a volte li ho odiati, a volte li ho giustificati. Alla fine li ho perdonati, è stato come fare pace con me stesso, perché loro sono parte (e parti) di me. 
(E.) Nel secondo lavoro, però, il discorso ed il problema non nasce all'interno della famiglia, ma è esteriore, nella comunità e nell’apparenza di normalità del rapporto tra il protagonista e l'ambiente sociale che lo circonda. Sembra che si tratti di una lotta, durissima e difficile da raccontare. Come mai la scelta di questo argomento così difficile?
(B.) Non è stata una scelta studiata. La trama è nata, mi si è poggiata accanto, ma, per svilupparla, ho aspettato che sentissi il bisogno di farlo. “La neve all’alba” affronta un percorso complicato, al di là della tematica sociale, che colpisce e divide. In questo romanzo parlo di dolore, del percorso di comprensione complicato e avvilente che porta a guarirlo. Un dolore, perché si rimargini, bisogna attraversarlo, bisogna capirlo, dargli un nome, il suo nome e non uno a caso, perché non sia vano aver sofferto, perché qualcosa di buono affiori. Perché si arrivi a una felicità autentica e ragionata. Ogni felicità ha la sua malinconia a cui rispondere. E anche una razionalità a cui rendere conto. Una felicità inconsapevole è leggerezza, non dura. È necessario che sappia cosa l’abbia portata a esistere e resistere. Se una felicità sa quale dolore l’abbia generata, quanto complicato ed estenuante sia stato raggiungerla, non svanisce, fa da sfondo al tempo a venire, gli ricorda le sue priorità, toglie il superfluo e alleggerisce la vita. 
(E.) Abbiamo accennato alla tematica sociale. Nel romanzo si racconta una storia drammatica, purtroppo attuale e scandalosa. Che ne pensi dello scandalo della pedofilia nella Chiesa e, diciamolo, di questo fenomeno che interessa alcune famiglie apparentemente "normali"?
La pedofilia può essere amore o è perversione?
(B.) È complicato rispondere a questa domanda, non ne ho le competenze. Posso dirti soltanto quello di cui sono convinto: ogni forma di perversione o di malattia, che renda un carnefice -nello stesso tempo- vittima e colpevole, è una mancanza irrisolta, un dolore irrisolto, un nodo ancora aggrovigliato a se stesso. E questo nodo s’attorciglia a chiunque incontri. Per questo parlavo dell’importanza di capire un dolore. Soltanto quando lo capiamo e lo guariamo, ne può scaturire un felicità autentica; se lo trascuriamo, torna prepotente e si prende tutto, come un male intestino che consuma dall’interno la nostra esistenza, lasciandocene il rimpianto. L’amore che padre Ivan, il prete pedofilo de “La neve all’alba”, prova per Mauro è una malattia, ma non è solo un amore fisico, non vuole fargli del male, non intenzionalmente. Vuole essere ascoltato, compreso e amato. Ivan vuole che Mauro lo ami. Vuole che non cresca, che non diventi adulto, che non lo odi.
(E.) "Quello che sono ce l'ho scritto nel corpo, ce l'ho tatuato nelle unghie incarnite, scorticate come se avessero una colpa da espiare...". Emerge la drammaticità della storia del personaggio. Secondo te, con un passato così imbarazzante, c'è speranza di superare una situazione del genere e potere essere felici?
(B.) “La neve all’alba” è un romanzo di speranza. Una speranza nient’affatto scontata, né immediata, men che meno lineare. C’è un passo del libro in cui Mauro capisce contro cosa stia combattendo, lo dice a se stesso, gli costa fatica, ma è il primo passo verso il futuro. La speranza è lì, in quell’istante in cui la neve sposta i confini, in quell’istante in cui gli insegna che non c’è un modo soltanto per guardare al dolore, quindi la felicità non ha una direzione sola. In quel momento, ripensa al bambino e all’adolescente che è stato e decide di essere un uomo. Decide di non morire. La speranza non è alla fine, è in quel preciso istante in cui capisce che i segni che porta addosso non se ne andranno, che dovrà concedere loro sempre un po’ di rabbia e di frustrazione. Quell’istante in cui capisce che è vivo, che sopravvivere non gli basta più. 
(E.) L'autore Basilio Petruzza, giovane, vivi a Roma, ma hai nel cuore la nostra Acquedolci. E' bello che tu sia giovane ed è bello chiedere alcune cose a chi rappresenta la realtà giovanile. Libertà, Amore e Speranza.. Proprio tu ripeti spesso che "Amore sta nella capacità di guardare oltre se stessi". In questa epoca, è possibile secondo te Amare e potere al contempo essere liberi di fare esplodere il nostro essere? In altre parole è possibile donarsi e rimanere se stessi? E' possibile sperare di non rimanere schiacciati dal contesto irreggimentato in determinati schemi che dettano precipitosi giudizi legati alle apparenze e precipitose condanne ?
(B.) Io credo che, affinché ogni essere umano riesca a vivere in piena armonia con se stesso, sia necessario che segua sempre la propria natura, la propria personalità e che non dimentichi nessun tassello del proprio vissuto. Quando tutti i pezzi sono al posto giusto, è possibile aggiungerne di nuovi, siamo delle costruzioni. Penso che la vera felicità altro non sia che la piena conoscenza di sé, la capacità di non precludersi mai la possibilità di esprimersi. Stare bene con se stessi, permette di essere in armonia con gli altri, permette d’amare e di essere amati. Per quanto riguarda la libertà, invece, a volte siamo noi a precludercela, perché siamo vittime dei pregiudizi che abbiamo verso gli altri. Quando limitiamo gli altri, limitiamo noi stessi. Io credo nella libertà di ognuno, credo che solo un uomo intelligente sia davvero libero. Il pregiudizio è il più grande limite della nostra società, per eliminarlo serve non mettersi mai nella condizione di farsi giudicare dagli altri. Com’è possibile? Con una buona dose di autostima e piena consapevolezza di sé, come dicevo prima. Conoscersi è un percorso complicato. Vivere in totale armonia con se stessi, con le proprie aspettative, con il proprio vissuto, con le proprie radici, è complicato, però è fondamentale. Tutto sta lì, l’amore che proviamo per noi stessi, finché non diventa mero egoismo, è la chiave per vivere bene tutto il resto. E per viverci bene. 
(E.) Grazie Basilio, è stato davvero interessante parlare con te, speriamo che chi ci legge possa cogliere la bellezza di quello che dici e possa cogliere i valori che sai trasmettere.
(B.) Grazie mille a te. Grazie mille alla “mia” Acquedolci. 
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