Nel comune di Montagnareale contestata l'amministrazione locale per aver deciso l'annessione all'ente.
Un'incredibile quanto imbarazzante riunione si è svolta a Montagnareale, in una sala consiliare gremita bel oltre le aspettative. L'incontro tra l’Amministrazione locale e il
rappresentante dell’Ente Parco dei Nebrodi ha preso una piega inaspettata.
L’incontro
aveva come scopo quello di relazionare ai numerosi partecipanti gli eventuali
vantaggi di quanto già deliberato dallo stesso consiglio comunale a fine 2013,
ovvero l’avvio della procedura di annessione del comune di Montagnareale all’Ente Parco.
Il dato che ne è emerso assume invece risvolti inaspettati con
il sindaco di Montagnareale duramente contestato sia dalle associazioni dei
cacciatori che dai suoi stessi cittadini, uniti nel giudicare sbagliata la
richiesta di annessione e scorretta la convocazione di un incontro a giochi
fatti.
Dal canto suo, il primo cittadino ha provato a spiegare le motivazioni
della scelta approvata il 27 dicembre scorso venendo incalzata dalle associazioni di categoria intervenute da tutta la provincia
di Messina.
“Non ci sono benefici ad entrare nel Parco – ha esordito Pietro
Miraglia, rappresentante del gruppo di protesta –, soldi non ce ne sono, non ve ne
arriveranno e dovete avere l’onestà di dirlo ai vostri concittadini. Dovete
finirla con le “mangiatoie”, i parchi si allargano solo per esigenze politiche.
Ci sono comuni che hanno fatto richiesta di annessione possedendo 1 ettaro di
terreno, qualcuno che mi spieghi il perché non l’ho ancora trovato. L’attività
venatoria è anche una cultura, oltre che una tradizione ed uno sport. Così
distruggete tutto, con questo progetto scompare la categoria dei cacciatori con
tutto il suo indotto”.
Presente tra il pubblico anche il capogruppo di
minoranza nel comune nebroideo, Massimiliano Magistro che, chiesta la parola, ha ribadito il dissenso
della minoranza sulla scelta intrapresa. “Vedo in quest’aula una nutrita
rappresentanza di cacciatori anche locali – ha detto –, si poteva interpellarli
prima e chiedere loro cosa ne pensassero della scelta imposta dall’Amministrazione.
Dal canto nostro abbiamo avviato una petizione popolare per chiedere di
revocare quanto deciso”.
A difesa del progetto di sviluppo dell’Ente Parco dei
Nebrodi, il dott. Digangi ha affermato che l’intenzione non è politica, bensì
si vuole creare una macro-area per la tutela presente e la programmazione
futura.
“Siamo consapevoli che in questo passaggio – ha concluso Digangi –
l’attività venatoria è quella che realmente viene penalizzata dai regolamenti
delle aree protette ma insieme si può lavorare in tal senso”.
Il dibattito si è
poi sviluppato con i numerosi interventi del pubblico presente che ha portato,
ciascuno con la propria esperienza e competenza, degli esempi di vita reale.
Tra di essi, Antonino Scollo e Marisa Calafiura, rispettivamente della ASCN e
CPA, che hanno evidenziato come molte attività commerciali, meta stagionale di
appassionati cacciatori, siano state costrette a chiudere o ridimensionare una
volta che il territorio di competenza è divenuto Parco.
“La mancanza di una
precisa regolamentazione sulle cosiddette aree pre-parco e i vincoli imposti
dalle normative vigenti – ci dicono – rendono chi pratica la caccia sportiva un
potenziale bracconiere. E’ ovvio che in queste condizioni la passione la devi
mettere da parte”.
La protesta dei cacciatori vede Montagnareale come ultimo in
ordine cronologico tra i comuni interessati. Già da settimane tutto
l’hinterland in movimento verso l’annessione al Parco ha visto sorgere comitati
spontanei di protesta. In un recente incontro era stato proprio Pietro Miraglia
a ribadire la determinazione della protesta che potrebbe arrivare anche alla
decisione della consegna del porto d’armi. Concetto ribadito a chiare lettere
anche a Montagnareale, raccogliendo il pieno assenso dei numerosi cacciatori
presenti.
Si contano circa ottomila cacciatori in possesso di regolare porto
d’armi in provincia di Messina ed ognuno di loro in un anno affronta una spesa
che varierebbe dai 3 ai 5 mila euro. Ma i vincoli, è giusto ribadirlo, non si
fermano ai soli cultori dell’arte venatoria. Chi va per funghi o chi possiede
appezzamenti di terreno è tenuto a rispettare le stesse rigide regole.
Sulla
vicenda era intervenuto qualche mese addietro anche il deputato regionale Nino
Germanà che definì il Parco “un Ente che nel giro di pochi anni da un fiore
all’occhiello, per trasparenza e buona amministrazione, si è trasformato in un
carrozzone, passando da esempio virtuoso a emblema di sprechi. Un Parco che
dovrebbe essere il volano dell’economia locale ridotto in un Ente che impone
soltanto un insieme di vincoli territoriali”.
Che l’Ente Parco non attraversi
un momento economicamente positivo è cosa nota da tempo, commissariato e privo
di una reale guida. Negli anni si sono succeduti commissari ma non un vero
presidente. Ultimamente il Parco ha chiesto un’audizione al governatore
Crocetta per affrontare i propri problemi economici: mancano i soldi perfino
per pagare gli stipendi del personale e trapelano notizie di una possibile
dismissione parziale del parco mezzi.
A fronte di un fabbisogno finanziario di
5 milioni di euro, la Regione ha corrisposto al Parco poco meno della metà, il
che ha comportato il pressoché totale immobilismo di tutte le funzioni
dell’area protetta. Infine ci sono le situazioni limite, prodotte dall’eccesso
di fauna selvatica che in esso prolifica. Evidentemente non ci sono soldi per
programmi di gestione e per le catture, così cinghiali e conigli causano danni
incontrollabili.
Il risultato è devastante per le aziende agricole che
risiedono nel territorio dell’area protetta e che devono comunque sottostare ai
vincoli imposti dal Parco senza potersi difendere dai danneggiamenti. Danni che
escono anche dai confini del Parco e che stanno impoverendo la biodiversità di
vaste zone della Sicilia. Su queste premesse, anche Montagnareale corre verso
il Parco. [fonte: Salvatore Caporlingua, GLPress]
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