ACQUEDOLCI: Economia sociale e Popolarismo Cristiano.

Il giovane acquedolcese Agostino Alberto Di Lapi ci accompagna in una interessante analisi del pensiero di don Luigi Sturzo definito "Operaio Sociale".
Nel mese di Giugno si era svolto a Torregrotta un Convegno.
(nella foto: Agostino Di Lapi responsabile del CISS -Centro Internazionale Sudi "Don Luigi Sturzo"/Nebrodi- che ha sede a Sant'Adata Militello)
"I cattolici-scrive Di Lapi- sono rimasti dispersi, frammentati, ininfluenti e servili nei confronti del potere, piegandosi a logiche opportunistiche e partitiche."
Don Sturzo per una buona politica oggi…Oggi il cattolico che vuole impegnarsi in politica, deve avere chiaro il riferimento alla cultura di centro e del popolarismo cristiano, come una griglia ortodossa di valori e non come una altalena per muoversi in una direzione politica o in un’altra a seconda delle convenienze elettorali.
di Agostino Alberto Di Lapi
Il pensiero politico, economico e sociale di Don Luigi Sturzo è veramente attuale ed esistono le condizioni perchè il suo popolarismo possa essere attuabile.
Il popolarismo, il cui significato è strettamente connesso al termine popolo, vuole essere espressione di libertà e democrazia, riferibile a tutti i cittadini e non solo alla classe lavoratrice; popolare dunque, e non “del popolo”, intendendosi un metodo di partecipazione alla vita pubblica.
La visione di Don Luigi Sturzo è antropocentrica e riporta tutto all’uomo.
Il sacerdote calatino prese le mosse dalla storica enciclica “Rerum Novarum di papa Leone XIII e dal Vangelo, ritenendo che la persona deve essere al centro di ogni riflessione, così nella politica, così nell’economia e così nella società. 
Per Don Sturzo prima viene l’uomo, poi l’aggregazione degli uomini che porta alla famiglia e infine, l’aggregazione degli uomini, che rappresenta lo Stato. 
A quell’epoca, dire ciò significava scardinare un assetto culturale dominante quale quello marxista secondo cui, prima veniva lo Stato-tutto e soltanto alla fine l’uomo-particella nella sua più totale abnegazione. 
In questa concezione antropocentrica a cui giunge Sturzo, secondo cui l’essenza dell’individuo consiste nella sua personalità e non nell’ambiente che lo circonda, riguarda anche il mondo dell’economia, che deve essere al pari della politica, libera, in antitesi a ogni forma di statalismo e di dirigismo economico. 
Don Sturzo ha rappresentato un sintesi feconda tra gli economisti della scuola classica, quali Smith, Owen e Ricardo e i valori del popolarismo, unendo valori fondamentali quali la libertà di mercato, la libertà di impresa e quella dell’agire umano, intesa quale capacità di autodeterminazione dell’individuo, con quell’attenzione alla persona che, invece, l’economia classica aveva enfatizzato, in maniera molto marginale. 
Questa fu l’innovazione di Sturzo, che è stato anche economista, sposando in pieno il metodo della “libertà” e il metodo “rappresentativo” del liberalismo, senza però degenerare nell’errore dello stesso liberalismo, che riduceva la religione a un semplice affare di coscienza. 
In questa sua concezione, egli si avvicinò principalmente alla cultura dell’economia sociale di mercato e al mondo culturale e politico di Adenauer,Ropke e Herard
Don Luigi Sturzo si occupò molto del tema dello sviluppo, inteso non come semplice crescita economica, ma come elevazione di ogni uomo e dell’uomo nel suo complesso. 
Egli nella visione antropocentrica, seguendo l’enciclica Rerum Novarum, riteneva che l’uomo fosse al centro di ogni considerazione di natura filosofica, morale, spirituale, politica, sociale ed economica, e considerava lo sviluppo come frutto della capacità, dell’intelligenza e del senso di intraprendenza dell’uomo. Il sacerdote calatino infatti, nella sua sacrosanta lotta allo statalismo economico, ha elogiato il rischio derivante dagli investimenti umani in attività private, in quanto esso sensibilizza e stimola a rendere di più (generando così, il VERO SVILUPPO che è sviluppo della persona in toto, che non è solo profitto ad ogni costo, come sta prevalendo oggi nel liberismo sfrenato della scuola monetarista dei c.d. Chicago Boys).
Il CAPITALISMO non è sicuramente in linea con l’economia sociale e solidale di mercato, in quanto esso implica sfruttamento e negazione della dignità della persona, concentrando la ricchezza prodotta nelle mani di un sempre più ristretto numero di persone. 
Questo aspetto è stato ripreso lucidamente da Giovanni Paolo II, secondo cui: “Se con CAPITALISMO” si indica un sistema economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell’impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della liberà creatività umana nel settore dell’economia, la risposta è certamente positiva, anche se forse sarebbe più appropriato parlare di “economia di impresa” o di economia di mercato, o semplicemente di economia libera. Ma se con capitalismo si intende un sistema in cui la libertà nel settore dell’economia non è inquadrata in un solido contesto giuridico, che la metta al servizio della libertà umana integrale e la consideri come una particolare dimensione di questa libertà, il cui centro è etico e religioso, allora la riposta è decisamente negativa”. 
Don Sturzo riteneva proprio l’alleanza capitale-lavoro indispensabile per il funzionamento delle imprese, ritenendo invece anacronistica la lotta di classe predicata dal marxismo. 
Oggi, e ancora una volta Don Sturzo ragione, le tendenze nelle organizzazioni sono quelle della collaborazione capitale-lavoro, in cui, per esempio, il dipendente mostra le sue idee al DATORE DI LAVORO. 
Prima di parlare di crescita dal punto di vista economico e sociale, è necessaria una rinascita dei valori del merito, della competenza e della capacità, che la politica italiana ha disconosciuto. 
Sturzo aveva capito la necessità di una classe dirigente onesta e competente, aspetto ripreso pure da Benedetto Croce, secondo cui occorreva l’onestà unita alla capacità di agire a cui Sturzo aggiungeva la moralità dell’azione politica e dell’azione economica, insostituibile per la crescita sociale. 
In tutte le fazioni politiche odierne sono mancate onestà e competenza, che hanno reso poco credibile la classe dirigente ed, in particolare, i giovani stanno pagando gli effetti di queste politiche assistenzialiste e stataliste, e sono sfiduciati nei confronti della politica, che non è servirsi bensì servire. 
I giovani oggi non conoscendo molto Sturzo, complice anche il “silenzio” dei libri di storia, non hanno un valido punto di riferimento, anche perché la classe politica non ha offerto nulla di buono. 
Il sacerdote di Caltagirone aveva ben inteso i problemi dell’Italia, che sono quelli di oggi. 
Le politiche che vedevano nello stato-tutto lo stato padrone, hanno portato a una situazione di regresso rispetto ai paesi anglosassoni, il cui modello di sviluppo Sturzo esaltò, complice la sua lunga esperienza in esilio, a Londra e negli Stati Uniti. 
Don Sturzo non fu seguito dalla classe dirigente che ha preso strade diverse e che si è invece orientata verso l’assistenzialismo, la partitocrazia e l’intervento opprimente dello Stato nell’economia. 
Sturzo aveva, inoltre, già inquadrato il problema della burocrazia e del fiscalismo
OBIETTIVO dello stato, come scrisse Sturzo, non è quello di ottenere quanto più gettito possibile dal cittadino, spremendolo, bensì quello di redistribuire le risorse economiche ai cittadini, specie alle aree sociali più povere e svantaggiate, per realizzare quei fini di coesione economica e sociale, garantiti, per lo meno formalmente, sulla carta costituzionale.
L’attualità di Don Sturzo di evidenzia ancor di più nel rapporto tra etica ed economia e tra morale e politica; difatti: “L’economia senza etica è diseconomia” e “La democrazia o è morale o non è democrazia”.
Quella di oggi sarebbe una vera democrazia? 
No, se la giudichiamo con le parole di Don Sturzo, in quanto la politica odierna nasconde la verità e utilizza un linguaggio, il c.d. politichese, che nasconde i veri problemi e allontana i cittadini dalla politica e dalla comprensione dei problemi. 
A questo punto viene da chiedersi: ”I cattolici dove sono? Per quale società sono disposti a lottare?
Riemerge, dunque, una della più geniali invenzioni di Sturzo, ossia l’impegno dei cattolici in politica, senza delegare e operando non uti singuli, bensì in forma associativa, al fine di potere orientare la stessa politica al bene comune e al servizio della collettività. 
Non seguendo Sturzo, la maggioranza numerica dei cattolici si è ridotta a una minoranza dal punto di vista della incisività nella società e nell’agire politico. 
Infatti, come nota il filosofo Dario Antiseri, “Ignorato dai marxsisti e dai laici, il pensiero di Sturzo resta sostanzialmente nascosto al mondo cattolico, quasi colpito da una tacita interdizione”. 
I cattolici sono rimasti dispersi, frammentati, ininfluenti e servili nei confronti del potere, piegandosi a logiche opportunistiche e partitiche. 
Oggi il cattolico che vuole impegnarsi in politica, deve invece avere chiaro il riferimento alla cultura di centro e del popolarismo cristiano, come una griglia ortodossa di valori e non come una altalena per muoversi in una direzione politica o in un’altra a seconda delle convenienze elettorali. 

(E.C.- fonte: DilaBlog)

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