Storia di Acquedolci


1.       ACQUEDOLCI
Acquedolci è un Comune siciliano popolato da circa seimila abitanti (gli Acquedolcesi o Acquedolciani). Il dialetto parlato è il siciliano nella forma della eteroglossia interna del dialetto galloitalico sanfratellano.
Il Paese si estende ai piedi del massiccio calcareo Monte San Filadelfio ed è bagnata dalle acque del Mar Tirreno meridionale.
Il territorio comunale è tra i più piccoli della sicilia (appena 12 km²). La densità della popolazione e di 470 ab. per km². Il centro urbano si sviluppa attorno agli edifici storici della Chiesa Madre e del Municipio. Acquedolci è la 16ma cittadina più popolosa della Provincia di Messina.
Il Patrono di Acquedolci è San Benedetto il Moro,religioso figlio di schiavi e nato in condizione  di uomo libero a San Fratello nel XVI secolo. San Benedetto è titolare della omonima Parrocchia. La ricorrenza civile del Santo Patrono è fissata il 4 aprile, data che ricorda il pio transito del frate. In questa data uffici pubblici, scuole, studi professionali, poste e banche sono chiusi al pubblico.

La moderna cittadina fu edificata durante il Governo Facta con la legge n. 1045 del 9 luglio 1922 approvata da Vittorio Emanuele III Re d’Italia,  in conseguenza di  una frana disastrosa che aveva distrutto l'abitato di San Fratello l'8 gennaio 1922. Il nuovo centro  sorse  nelle vicinanze dell’antico Borgo denominato Vecchia Marina che si sviluppa  nei pressi dell’antico Castello “Larcan-Gravina”.

La realizzazione della "nuova San Fratello" fu determinata dall'esigenza di delocalizzare l'intero Comune montano colpito dal dissesto idrogeologico.
Prima di allora,perciò,Acquedolci era una piccola borgata frazione di San Fratello, abitata da circa 800 contadini. Il Castello fu dimora della famiglia catalana dei feudatari Larcan, signori  dall’anno 1395 della “Terra di San Filadelfio e  Delle AcqueDolci” e successivamente dalla nobile famiglia spagnola dei Gravina, che furono insigniti in seguito del titolo di  “Principi di Palagonìa”.

Acquedolci rimase frazione di San Fratello fino al 28 novembre 1969, quando divenne Comune autonomo con la legge regionale n. 42, dopo un lungo e travagliatissimo percorso autonomistico attivato  a fine anni ’40 da un Comitato cittadino Pro Autonomia, guidato dal parroco arc.Antonino Di Paci.

La denominazione "Acquedolci" è avvolta nel mistero.
Secondo alcuni l'origine di questo nome è riconducibile agli scoli dei trappeti che lavoravano la canna da zucchero, introdotta in epoca araba. Per questo motivo l’acqua del mare era  resa dolciastra. Lo stemma araldico del Comune richiama le piantagioni di Canna da Zucchero fiorite e gli scoli dei trappeti a mare.
In realtà la denominazione della località è più antica di oltre mille anni e risalente addirittura all’epoca Romana.
Intorno al tezo secolo avanti Cristo, il console Valerio fece costruire una strada consolare che collegando Messina a Palermo prevedeva nella localita di Acquedolci una Stazione di Posta.  Durante la Prima Guerra Punica, secondo la leggenda, i Romani stessi diedero il nome a questa località strategica che offriva una copiosa sorgente  marina di acqua dolce ed evitava  alle navi di attraccare sulla terraferma col rischio di imbattersi in conflitti con i Cartaginesi che occupavano l’insediamento posto sul Monte. Secondo la leggenda,tra il  264 - 241 a.C diretti verso le Isole Egadi, a largo del promontorio oggi noto come Monte di San Filadelfio, i Romani notarono copiosi affioramenti di acqua dalle profondità del mare e immerse le anfore  si accorsero che l’acqua era dolce e potabile. Da allora la località divenne famosa nell’Impero e lo stesso Virgilio ambientò lo sbarco di Enea sulla costa settentrionale siciliana.
Scrive Virgilio nel libro I dell’Eneide (vv. 160 -163)… “..poi sopra, una scena di selve brillanti ed un nero bosco sovrasta con ombra terrificante. Su fronte opposto una Grotta con massi incombenti; dentro Acque Dolci e sedili di vivo sasso, è una casa di Ninfe. Qui nessun cordame trattiene le stanche navi, [...]. Qui entra Enea, raccolte sette navi da tutto il numero ed usciti col grande amore di terra, i Troiani s'impossessano della sabbia bramata e adagiano sul lido le membra grondanti di sale." 
Cicerone cita la  località nel penultimo libro del Secondo discorso d’accusa contro Verre. Una delle opere forenzi più famose della storia del Diritto ci racconta gli abusi e i saccheggi dell’avido governatore . Protagonista del racconto diventa la zona di Aluntio, un antico insediamento  che sorgeva probabilmenteè sul Monte di San Filadelfio, dove si identificano i resti di insediamenti  di epoca ellenistica conosciuti come Apollonia. Attraverso il "Carricatorum Aquarium Dulcium", Apollonia e Aluntio riforniva di viveri i romani e la popolazione locale viveva del commercio dei prodotti (formaggi, olio, vino, frumento). Nei pressi di questa spiagga Verre si accampa e, per evitare di salire il ripido Monte, convoca il nobile Arcagato di Aluntio ordinandogli di requisire e consegnare tutti gli oggetti d’oro e d’argento cesellato, le ricchezze, le statue, le coppe,i vasi corinzi e tutti i manufatti in avorio. Arcagato , dal mare, risale mesto in città, preoccupato per la reazione dei suoi compaesani. Ma Verre era spietato, un “tiranno” lo definisce Cicerone. Il suo ordine impaurisce la popolazione. Il saccheggio di Aluntio è raccontato nei dettagli: vengono sfondate le porte,rotte le serrature, strappati i gioielli alle donne, saccheggiati i templi. Mentre Verre, comodamente sdraiato sulla lettiga attende il bottino nella spiaggia sotto la città, gli uomini consegnano le armi e rientrano in casa per  prendere l’argenteria. “Tutto viene portato sul lido,all’ombra del grande Monte […] gli abitanti di Aluntio, rapinati di tutti quei leggiadri ornamenti, ritornarono a casa con le loro suppellettili prive d’argento”.

Il Medioevo..
Con la caduta dell’Impero Romano, ha inizio una fase di oblio e non si ritrovano tracce alcune della località. Gli insediamenti romani, forse a causa delle invasioni dei Barbari del nord Africa, forse per un disastroso evento proveniente dal mare, scompaiono. L’antica strada Consolare, però, col tempo viene attraversata da numerosissimi pellegrini e diventa  Via Francigena.
Tra il IX ed il X secolo, alcuni monaci Basiliani, in fuga dall’Oriente Iconoclasta si imbarcano nei pressi  della località di Kağıthane alle porte di Istanbul e, dopo mesi di navigazione lungo le coste del Mediterraneo, giunsero nella località che porta il nome della loro terra. Kağıthane è difatti la traduzione greca di quella che in latino è individuata come località Aquae Dulces. Questi monaci sbarcano in località “Pianelle” e si diressero verso il Monte dove trovarono rifugio in una Grotta nella quale si insediano dando vita ad una Comunità. Prima di Proseguire verso l’entroterra dedicarono il luogo a San Teodoro, santo patrono dei Basiliani.  Oggi la Grotta di San Teodoro è famosa per i rinvenimenti di antiche sepolture umane risalenti al 10 mila a.C. ed al suo interno sono stati ritrovati  miglaiia di resti fossili animali. Il sito paleontologico è tra i più importanti d’Europa.
Dominazione Araba e Normanna
L’arrivo della dominazione Araba è caratterizzata dall’introduzione delle piantagioni di Canna da Zucchero e di Gelso per la produzione della seta. Questo periodo arabo ha lasciato alcune tracce nella denominazioni di alcune contrade  del territorio di Acquedolci: la località Favara, dove si trova la sorgente che alimenta oggi il grande acquedotto comunale, deve il proprio nome agli arabi che con questo termine indicavano i punti nei quali erano presenti acque perenni; Anche la denominazione della contrada “Barranca”, sarebbe da ricondurre a questo periodo arabo e indicherebbe un  “fertile pendio ricco di acque”. 
Ma gli Arabi distrussero Apollonia e saccheggiarono l’insediamento che si trovava sul Monte.Gli abitanti si ritirarono in parte a San Marco d’Aluntio, in parte verso l’entroterra ai piedi di un enorme colosso di pietra denominato “Roccaforte”.
Con l’arrivo dei Lombardi, intorno al XI secolo, venne fondato l’odierno paese di San Fratello, che deriva il nome da San Filadelfio, uno dei tre Santi Fratelli martirizzati, durante le persecuzioni dell'imperatore Valeriano nel 253 d.C. . Ai Tre Santi martiri è dedicata l'omonima chiesa e convento del secolo XII secolo e per questo motivo il Monte prende il nome di San Filadelfio (o San Fratello). E’ questa l’epoca nella quale una colonia di piemontesi, liguri, lombardi ed emiliani, venuti alla conquista della Sicilia, giunse con il conte Ruggero e la moglie Adelaide del Vasto (detta anche Adelasia Incisa del Vasto), figlia del marchese Aleramico Manfredo. I migranti settentrionali si insediarono in un borgo già popolatodai discendenti dell’antico insediamento romano. Adelaide e Ruggero ripopolarono San Fratello e dotarono il Borgo collinare di una Rocca fortificata.
In questa epoca remota ritroviamo il nome della località Acquedolci. Ne parla l’ arcivescovoTimoteo nel redigere il diploma di consegna della Diocesi di Patti e Lipari al Vescovo Stefano, nell’anno 1179. Timoteo redige un resoconto che elenca i luoghi di culto presenti nel territorio. Viene citata una chiesa nel “territorio di Santo Filadelfio” con l’indicazione “iuxta mare”(vicino al mare) nei pressi della Via Francigena. Si tratta con certezza dell’antichissima Chiesa di San Giacomo il Maggiore che  subirà nei secoli numerose devastazioni a causa delle incursioni saracene  e sarà altrettante volte  riedificata. Ed è proprio da questo luogo che, secondo le biografie, nell'autunno del 1220 passò un un grande santo e dottore della Chiesa Cattolica. Seguito dal fedele frate Filippino di Castiglia, Ferdinando di Buglione –conosciuto in seguito come Antonio di Padova- si fermò a riposare, come era uso presso i pellegrini, in una osteria nei pressi della Stazione di Posta della località di Acquedolci, dopo che una tempesta lo aveva fatto naufragare nei pressi di Tusa. Sembra che i due abbiano ottenuto dei cavalli e abbiano proseguito verso Milazzo dove ricevettero soccorso da alcuni pescatori.

Periodo Catalano:L’epoca dei Larcan De Soto e la Torre Atàlia
E’ l’anno 1395, quando giunge in Sicilia il Principe Martino, di origine spagnola. Al suo seguito ci sono cavalieri crociati di origine catalana. Martino ambisce al trono di Sicilia e sposa l’ultima erede del Regno di Sicilia, Maria De Luna. I cavalieri fedeli a Martino si spartiscono l’isola e ricevono  dei feudi.
Augerotto Larcàn riceve il Feudo di “San Filadelfio e Delle Acque Dolci” nel 1398, dopo che si distinse in coraggio e valore durante la ribellione di Federico III d’Aragona che tentò di spodestare il principe Martino. Augerotto è autore della costruzione del primo nucleo della Torre Atàlia intorno al 1405.  Si tratta di una piccola torre difensiva dalle incursioni piratesche. Il nome Atàlia è un nome biblico, che serve da Monito agli invasori e significa “Dio è Grande”. La famiglia dei Larcàn rese ricca  e prospera la Marina delle Acque Dolci. Sul finire del ‘400, il nipote Antonio Giacomo Larcàn riorganizzò il proprio feudo sotto il profilo difensivo e ottenne, dal Vicerè di Sicilia, di riparare e rinforzare l’antica Torre esistente.
La Torre Atàlia venne ampliata ed ingrandita su tre livelli, divenendo un maestoso  avamposto difensivo che garantiva la sicurezza per tutti i borghi collinari della Valdemone. Attraverso efficaci segnali di allarme, metteva in guardia le comunità collinari in vista di possibili minacce piratesche provenienti dal mare. Antonio Giacomo Larcàn ottenne di costruire il Baglio con una coronatura di merli ghibellini, di edificare la Tonnara e la Chiesa e ottenne la licenza per  attivare un nuovo Carricatore (o Scaro) che permise lo sviluppo del commercio per l’esportazione di frumento, legname e soprattutto di  Rum e zucchero provenienti dalla lavorazione della Cannamela e prodotti in abbonanza grazie all’impiego di schiavi africani e prigionieri.
In questa epoca storica, una donna di colore di nome Diana, schiava di Antonio Giacomo Larcan, viene venduta ad un ricco possidente sanfratellano di nome Vincenzo Manasseri che la dà in moglie al suo fedele schiavo Cristoforo. Dall’unione di questi due schiavi africani  nasce nel 1524, nella condizione di uomo libero per volontà del proprio padrone, il cittadino più illustre della storia del nostro territorio. Si tratta di Benedetto Manasseri,che fu eremita al seguito di Girolamo Lanza. Frate Francescano dell’antica osservanza, morì in fama di santità il 4  aprile 1589. La Chiesa Cattolica lo ha beatificato nel 1807, dopo un lunghissimo processo canonico. Frà Benedetto Manasseri è conosciuto in tutto il mondo come San Benedetto il Moro.   

L’epoca Spagnola e le testimonianze degli storici..
E’ l’anno 1524 quando il geografo messinese Francesco Maurolico passa da Acquedolci e vi pernotta in una locanda. Annota qualche riga..”l’Acquae Dulci fundaco”..
Nel piccolo feudo di San Filadelfio e Delle Acque Dolci venne riattivata e potenziata la produzione della seta. Nel 1530 Carlo V venne ospitato nella Torre Atàlia e l’esercito spagnolo sconfisse i Saraceni che saccheggiavano le coste siciliane.

La piccola chiesa di San Giuseppe alla Torre, diventa un punto di riferimento spirituale per i servitori e gli schiavi del feudatario e col tempo comincierà ad essere adibita a Chiesa Madre del Borgo della Vecchia Marina. L’altare verrà realizzato in epoca tardo barocca, dopo un restauro della struttura ad opera della famiglia Gravina, succeduta ai Larcan.  Tommaso Fazello è ospite in visita al Castello e nel 1540 scrive “Acque deinde cognomate Dulces cum taberna ospitatoria..”.Nel 1610 , Antonio Filoteo scrive che in questo luogo si trova “una bella Torre con osteria..”.
L’epoca amministrativa dei Gravina  “Principi di Palagonìa” .
Nel 1754 uno smottamento interessò una parte dell'abitato di San Fratello che venne quasi completamente raso al suolo. A seguito di questo disastro, per la prima volta, si ipotizzava una delocalizzazione in riva al mare. A studiare lo spostamento della popolazione e la ricostruzione ad Acquedolci, nei pressi del proprio castello-dimora, è  il Principe Francesco Ferdinando di Palagonia, che governava in quel periodo. La popolazione però si ribellò a questa scelta e scoppiò una sommossa che  convinse  Francesco Ferdinando ad abbandonare l’ipotesi della delocalizzazione in riva al mare. Si optò al contrario per la ricostruzione del paese in collina. Il Principe permise a chi era rimasto senza casa, di rientrare in possesso della stessa dopo un certo numero di anni col pagamento di una somma rateizzata. Una scelta sbagliata che causerà la frana del 1922. Questa prima frana colpì la stessa zona dove un secolo e mezzo dopo franerà un terzo del paese. A raccontarci questi fatti  è lo studioso Luigi Vasi nelle sue "memorie".
La famiglia Gravina, ottenuto il titolo di “Principi di Palagonia”, avviò alcuni interventi di restauro nel castello di Acquedolci, ormai divenuto sede amministrativa del Feudo in seguito al crollo del castello collinare di San Filadelfio durante la frana del 1754. Venne restaurata la piccola Chiesa di San Giuseppe e realizzato l’altare barocco, ampliati i saloni ed edificate nuove strutture per la servitù. Un articolato  inventario riporta l’arredamento del Castello e della Chiesetta del Borgo in questa epoca. E’ probabile che vennero  edificate le torrette laterali del Castello e l’elegante prospetto nord, arricchito con merlature barocche, che volevano esprimere tutto il fasto e la potenza della famiglia Gravina che intervenne per bonificare alcune zone paludose da avviare a coltivazione di grano.
              L’epoca dei Cupane e la Granjde Frana del 1922..
Nel frattempo il Borgo, sviluppatosi  nei pressi del Castello, continuava a crescere e ad ospitare agricoltori e allevatori da tuto il comprensorio. Durante l’800  ai Gravina subentravano i Cupane, si verificò  il Passaggio dei Mille e l’Unità d’Italia.  Garibaldi stesso si affacciò sulla scalinata del Cortile del Castello e, prima di proseguire alla volta di Milazzo, tenne un discorso alla folla che lo acclamava.
Nel mese di maggio una fiera del bestiame e un “mercato delle cose” animavano, già all’epoca, la piccola borgata che venera San Giuseppe patrono dei lavoratori.
Il nuovo secolo ha inizio con un incremento della popolazione  che conta ormai 800 abitanti. Nel 1911 nasce la Società Operai “Principe di Piemonte-La Marina”, un punto di riferimento di mutuo soccorso che basa la sua attività sull’accoglienza ed il sostegno ai lavoratori in difficoltà, sostenedo , in caso di morte,  gli orfani e le vedove. Nel 1920 nasce il Pio Sodalizio “San Giuseppe”, una confraternita religiosa che si occupa di promuovere il culto del santo. Nel 1922 un grave disastro colpisce San Fratello: la Grande Frana distrugge i tre quarti dell’antico paese, crollano dieci chiese, fa due vittime e lascia in strada oltre 9 mila sfollati. Circa 2 mial vengono accolti nella vicina S. Agata, in attesa di una collocazione definitiva. In migliaia fuggono ad Acquedolci dove il Barone Cupane ordina di aprire i saloni ed i cortili per ospitare donne, anziani e bambini. Lungo la borgata si sviluppa una tendopoli con migliaia di  disastrati.
La “Città Giardino” e la rinascita di una Comunità..
La moderna Acquedolci, come anticipato,viene immaginata, pianificata e progettata a questo punto. Dal 1922 i ricoveri di fortuna nei pressi della località Buonriposo, lasciarono velocemente spazio a ricoveri “stabili”, dotati di servizi igienici e cortili. Il Governo, grazie all'impegno del Ministro della Guerra generale Antonino Di Giorgio, varò la legge n. 1045 del 9 luglio 1922, che prevedeva la ricostruzione dell'abitato di San Fratello in altro luogo, identificato nella frazione "Acquedolci". Per l'occasione venne realizzato un progetto urbanistico per la realizzazione di una elegante “Città Giardino”, che si ispira alle cittadine in stile liberty europee, caratterizzate da un'alternanza tra architettura e spazi verdi. Acquedolci rappresenta perciò uno dei primi piani regolatori della storia italiana post-unitaria. Il "Piano Acquedolci" prevedeva la realizzazione di un insediamento con ampie strade allineate e suddivise in isolati che fanno da contorno ai principali edifici pubblici. Le ampie strade e i grandi giardini avrebbero garantito ai residenti facili vie di fuga in caso di calamità.
In pochi anni si costruirono perciò alloggi popolari dignitosi ed ampi, dotati di piccoli cortiletti (i cosiddetti bagli, in dialetto "i Bagghi") conosciuti come "ricoveri stabili" in via Trento, in via Gorizia, in via Trieste ed in via Fiume. Il quartiere realizzato in questa area prese il nome di "Borgo Marina Nuova". In Via Armando Diaz, vennero edificati in seguito i cosiddetti "Padiglioni", abitazioni popolari a schiera ceduti ai disastrati della frana a prezzi di favore. Per la costruzione degli edifici pubblici venne utilizzata manodopera locale. Agli sfollati vennero assegnate in base al censo,aree edificabili. L’economia si rimise in moto.

Il “Piano Acquedolci” reca la firma di architetti ed ingegneri abbastanza conosciuti..
Vennero realizzate prestigiose palazzine in stile liberty come il palazzo Ricca progettato da Alessandro Giunta, il Palazzo Di Giorgio progettato da Vincenzo Perrucchetti e ancora i palazzi Scaglione, Rotelli,Catania, LoCicero-Basile, Gerbano, Latteri-Manasseri, Sidoti Ricca Salerno e Mammana. Il Palazzo del Municipio (1924-1926)in stile tardorinascimentale e la monumentale Chiesa Madre Santa Maria Assunta in stle classico,vennero  edificati entro il  1928 su progetto dell’arch. Giovanni Giordano. Il Giordano è artefice della realizzazione della Fontana dei Delfini in Piazza Municipio. L’opera si ispira alle fontane del Bernini e simbolaggia la  rinascita della comunità dopo il disastro. Altro monumento del paese edificato in questo periodo, è la Torre Campanaria della Chiesa Madre .
Durante l’epoca fascista fu avviata la costruzione dell'edificio delle Poste e Telegrafi (oggi adibito a Caserma dell'Arma) e del complesso scolastico che ospita le Scuole Elementari. Il Comune di Palermo finanziò l' "Asilo Infantile", progettato da Salvatore Roberti. L'edificio ospita oggi le Scuole Medie.
Negli stessi anni venne realizzato il cimitero comunale monumentale all'interno del quale si trova una chiesa e le cappelle gentilizie delle famiglie Ricca Salerno, Di Giorgio, Catania, Salerno, Ricca e Latteri. Il paese è ancora oggi servito da un'efficiente rete idrica e fognaria realizzata in quegli anni. Tuttavia il completo trasferimento della popolazione sanfratellana non si è mai concluso e non venne mai completato l'originario progetto redatto negli anni venti, a causa di interessi localistici da parte di alcuni politici sanfratellani.
Acquedolci è inclusa tra le città di fondazione nel periodo fascista, anche se la sua fondazione è avvenuta precedentemente, durante il Governo Facta.
 L’Autonomia : Acquedolci si stacca da San Fratello.
                                                    
La veloce crescita demografica, la negazione di servizi alla frazione, il definirsi di una cultura locale, la mancata destinazione ad Acquedolci dei contributi destinati a riparare i danni causati dai bombardamenti della II Guerra Mondiale, fecero aumentare i contrasti tra la frazione di Acquedolci e il Comune di San Fratello, contrasti che sin dagli anni Trenta erano in atto. Una delegazione rappresentava presso il Comune di San Fratello le esigenze della sempre più popolosa Acquedolci. Nei primi anni Cinquanta un gruppo di cittadini, guidati dal Parroco del paese, diede vita ad un comitato spontaneo che cominciò a reclamare con insistenza l'autonomia da San Fratello, ottenuta il 12 novembre e diventata esecutiva il 28 novembre 1969. Le polemiche e le rivendicazioni patrimoniali, conseguenti alla conquistata autonomia, a distanza di mezzo secolo, non sono ancora terminate ed è ancora in corso la procedura per la divisione patrimoniale tra i comuni di Acquedolci e San Fratello.

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